L’11 febbraio del 1790 è il primo passo verso la svolta, la Società degli Amici presenta una petizione al Congresso degli Stati Uniti per l’abolizione della schiavitù.
Il 1790 è l’anno in cui la Società degli Amici presenta una petizione per l’abolizione della schiavitù
La schiavitù negli Stati Uniti d’America fu un istituto previsto dalla allora vigente legislazione, durata per più di un secolo, da prima della nascita degli USA nel 1776, e continuata per lo più negli Stati del sud fino al passaggio del XIII emendamento della Costituzione degli Stati Uniti nel 1865 a seguito della guerra civile.
Tale forma di schiavismo consisteva nell’assoggettamento di manodopera acquistata in Africa da mercanti di schiavi per essere utilizzati come servitori e raccoglitori nelle piantagioni delle colonie. La prima colonia inglese dell’America del Nord, la Virginia, acquisì i primi schiavi nel 1619, dopo l’arrivo di una nave con un carico non richiesto di 20 africani, dando vita così alla diffusione di quella che fino ad allora era una pratica delle colonie spagnole in Sudamerica.
La diffusione dello schiavismo
Molti schiavi erano africani neri che appartenevano ai bianchi, ma una piccola percentuale di nativi americani e di gente di colore libera possedeva schiavi, ed alcuni di questi lavoratori forzati erano bianchi. Lo schiavismo si diffuse principalmente nelle zone in cui vi erano terreni molto fertili adatti per vaste piantagioni di prodotti molto richiesti, come tabacco, cotone, zucchero e caffè. Gli schiavi si occupavano dei lavori manuali: arare e raccogliere in questi vasti campi. L’efficienza del lavoro era supervisionata da sorveglianti, che si assicuravano, anche con mezzi violenti, che gli schiavi lavorassero il più possibile.
Prima della larga diffusione dello schiavismo “proprietario” (in cui chi acquisiva il “bene-schiavo” possedeva non solo lui ma anche la sua discendenza), molto del lavoro nelle colonie era organizzato con gruppi di lavoratori reclutati con il metodo della servitù debitoria. Questo metodo esistette per alcuni anni come forma di contratto di lavoro sia per i bianchi che per i neri. Gli “schiavi vincolati”, così venivano definiti, pagavano il viaggio nelle colonie con il lavoro fino ad estinguere il debito, poiché la migrazione verso il Nordamerica era dettata spesso da una condizione di miseria e di povertà nel loro paese di origine. Tra il 1680 e il 1700 gli schiavi iniziarono a sostituire i lavoratori debitori in molte delle colonie americane. Per l’importanza della schiavitù la House of Burgesses varò un nuovo codice degli schiavi nel 1705, riunendo la legislazione esistente nei secoli precedenti aggiungendovi i principi secondo cui la razza bianca era dominante e superiore nei confronti della razza nera. Dal XVIII secolo la normativa riguardante lo schiavismo era di tipo razziale, creando un sistema in cui gli schiavi erano principalmente africani e loro discendenti, e occasionalmente anche nativi americani, mentre le colonie spagnole abolirono la schiavitù dei nativi nel 1769.
La “deportazione” degli schiavi
Nel periodo che intercorre tra il XVI e il XIX secolo si stima che circa 12 milioni di africani siano stati trasportati nelle Americhe, e di questi almeno 645.000 sono stati destinati nei territori che successivamente fecero parte degli Stati Uniti d’America. Nel 1860 la popolazione di schiavi negli USA era cresciuta fino a 4 milioni.
Lo schiavismo fu oggetto di controversie nella politica degli Stati Uniti dal 1770 al 1860, divenendo un tema importante di dibattiti in tutti gli Stati riguardo alla ratifica della Costituzione; il Congresso federale approvò nel 1793 il cosiddetto Fugitive Slave Act (ossia Legge sullo schiavo fuggitivo), e nel 1850 la Fugitive Slave Law, con i quali si regolava la restituzione degli schiavi fuggitivi ai loro rispettivi proprietari, mentre in altre sedi il principio di intolleranza della schiavitù venne meno per via delle decisioni della Corte Suprema, come il famoso caso giudiziario di Dred Scott. Gli schiavi cercavano di opporsi alla schiavitù con ribellioni e la non collaborazione nei lavori, e alcuni riuscivano a scappare negli Stati in cui lo schiavismo era stato già abolito o in Canada, favoriti dalla Underground Railroad. Gli avvocati che erano a favore dell’abolizione dello schiavismo ingaggiavano dibattiti politici in cui si richiamavano i principi morali che tale pratica violava, e incoraggiavano l’istituzione di porti franchi liberi dallo schiavismo man mano che i territori verso ovest venivano occupati. La disputa morale sullo schiavismo fu uno dei principali motivi di attrito che portò alla guerra di secessione americana. A seguito della vittoria degli Stati dell’Unione lo schiavismo divenne illegale in tutti gli USA con la ratifica del 13° emendamento della costituzione, ma la pratica persistette per alcuni anni con l’assoggettamento di nativi americani.
L’abolizione della schiavitù
Molti Stati del nord-est diventarono zona franca per gli schiavi attraverso i movimenti locali abolizionisti. Gli insediamenti del Midwest dopo la rivoluzione americana decisero di non permettere la schiavitù nel 1820. Un blocco nord di Stati liberi dallo schiavismo era unito geograficamente e politicamente da una cultura antischiavista, tracciando una linea, la Mason-Dixon (tra lo Stato schiavista del Maryland e lo Stato libero della Pennsylvania) con il fiume Ohio.
La Società degli Amici
Il Quaccherismo
I quaccheri (nome con cui è conosciuta la Società degli Amici) sono i fedelidi un movimento cristiano nato nel XVII secolo in Inghilterra appartenente al calvinismo puritano, che si concentra sul sacerdoziodi tutti i credenti.
Questo movimento si diffuse rapidamente per tutta l’America e s’impegnò molto in varie battaglie in campo sociale, come l’abolizione della schiavitù, l’estensione dell’istruzione popolare e le riforme nelle carceri e nei manicomi; essi anche nella prima e seconda guerra mondiale, si distinsero per la loro opera di assistenza, tanto da conquistare il premio Nobel per la pace, nel 1947. Il movimento quacchero esercitò un importante influsso sul pensiero del filosofo statunitense Ralph Waldo Emerson. Anche alcuni pacifisti europei furono attratti dagli ideali dei quaccheri, come ad esempio il fondatore del Servizio civile internazionale, lo svizzero Pierre Ceresole.
Nel 1790 fu il primo movimento che osò sfidare la grande potenza del colonialismo ereditato dall’impero britannico, presentando una petizione correlata strettamente all’abolizione della schiavitù.
Inoltre, le loro battaglie sociali restarono un punto fermo nella storia degli Statuni Uniti d’America, divenendo, conseguentemente, un esempio per gli anni avvenire, sino alla definitiva abolizione deggla schiavitù che avvenne tramite il proclama di emancipazione di Lincoln.
L’abolizionismo
L’abolizionismo è un movimento politico, determinato anche da motivazioni d’ordine economico legate alla prima rivoluzione industriale, e un’istanza morale, basata su considerazioni umanitarie che emergono nella cultura illuministica o cristiana, per l’abolizione del commercio degli schiavi e la soppressione della schiavitù che nasce e si sviluppa in Europa e in America tra la fine del XVIII e il XIX secolo.
Il termine viene genericamente usato anche in riferimento a quelle correnti di pensiero o movimenti politici e sociali che si battono per l’abolizione di leggi, costumi o consuetudini ritenute non più adeguate ai tempi e ingiuste. In particolare si parla di abolizionismo anche nel caso del movimento che negli anni trenta negli Stati Uniti sosteneva la necessità di porre fine a quelle leggi che proibivano l’uso di bevande alcoliche (proibizionismo).
La fase teorica
Nel mondo antico, che definiva giuridicamente lo schiavo neppure un animale ma un “istrumentum vocale”, un utensile provvisto di voce, la volontà di trattare umanamente gli schiavi o addirittura di abolire la schiavitù era presente in filosofi come Seneca che riteneva essere la schiavitù una istituzione priva di ogni base giuridica, naturale e razionale. Per questo, diceva, gli schiavi vanno trattati come tutti gli altri esseri umani («servi sunt, immo homines» sono servi anzi uomini) e così per le differenze sociali: “Che significa cavaliere, liberto, schiavo. Sono parole nate dall’ingiustizia.” (Epistole, 31). Ma in fondo, aggiungeva, la vera schiavitù è quella che assoggetta gli uomini alle passioni e ai vizi. Tutti noi siamo schiavi spiritualmente e solo la filosofia può liberarci. Quindi vi è nel mondo un’ingiustizia di fondo verso cui è inutile ribellarsi.
Il supremo valore dell’uguaglianza di tutti gli uomini per cui lo schiavo è pari al suo padrone venne proclamato dal Cristianesimo, ma nella pratica il principio religioso venne a scontrarsi con le strutture sociali che da secoli codificavano la schiavitù, su cui si basava l’intero sistema economico, e dové necessariamente adattarsi al compromesso per cui gli schiavi rimasero tali di fatto e di diritto.
Del resto tutte le storture della società erano la conseguenza del peccato originale. Scriveva l’abate Smaragdo di Saint-Mihiel sotto Ludovico il Pio «Non è la natura che ha fatto gli schiavi è la colpa» e allo stesso modo nel VI secolo Isidoro di Siviglia: «La schiavitù è un castigo inflitto all’umanità dal peccato del primo uomo», e «Poiché la vita presente non è che un luogo di passaggio transitorio e cattivo per definizione , poiché il grande problema di quaggiù è di prepararsi alla Vita Eterna, intraprendere una riforma da capo a fondo dell’ordine sociale stabilito nella speranza di portare il trionfo di una felicità di per sé impossibile, non potrebbe essere che un’opera vana; assai di più uno sperpero sacrilego di forze che dovevano essere riservate per un compito più urgente e più alto…».
La Chiesa stessa quindi, diventata un’istituzione, possedeva un gran numero di schiavi e se qualcuno, in aderenza alla parola evangelica, voleva mettere in pratica il principio cristiano dell’eguaglianza in Cristo di tutti gli uomini, questi andava severamente condannato. Nel concilio di Granges (324) si affermava: «Se qualcuno sotto il pretesto della pietà, spinge lo schiavo a disprezzare il suo padrone, a sottrarsi alla schiavitù, a non servire con buona volontà e rispetto, che egli sia scomunicato». Un problema particolare si poneva poi alla Chiesa riguardo alla possibilità degli schiavi di essere consacrati al sacerdozio: cosa da tutti ritenuta impossibile poiché un uomo come lo schiavo sottoposto secondo la legge al potere assoluto di un padrone non avrebbe avuto l’indipendenza e la libertà necessaria a chi dispensava i sacramenti.