L’ansia crescente potrebbe essere un sintomo precoce del morbo di Alzheimer, che si presenta ben prima della neurodegenerazione e dei conseguenti problemi cognitivi, come la perdita di memoria . Lo ha determinato un team di ricerca del Brigham and Women’s Hospital di Boston, dopo aver analizzato i dati dell’Harvard Aging Brain Study, uno studio di osservazione durato cinque anni e condotto su 270 uomini e donne di età compresa tra i 62 e i 90 anni, tutti privi di disturbi psichiatrici.
Ansia crescente? Potrebbe essere Alzheimer
Altre indagini in passato avevano già dimostrato un legame tra sintomi depressivi e neuropsichiatrici con la fase “pre-clinica” della patologia, quella in cui la proteina beta amiloide e la tau si accumulano nel cervello sino a determinare la formazione di placche, che a loro volta, interrompendo la comunicazione fra neuroni, producono la neurodegenerazione e i relativi problemi cognitivi. L’ansia potrebbe emergere fino a 10 anni prima dalla manifestazione clinica del morbo di Alzheimer.
Le indagini
I partecipanti allo studio americano, oltre a sottoporsi a scansioni cerebrali, hanno anche eseguito test sulla depressione specifici per gli anziani (Geriatric Depression Scale – GDS), affinché si potesse tenere traccia sia dei cambiamenti neurobiologici che di quelli psichiatrici.
Dall’analisi statistica dei dati, gli studiosi coordinati dalla professoressa Nancy Donovan hanno dimostrato che l’accumulo di beta amiloide più elevato era associato con un aumento dei sintomi d’ansia nei partecipanti. Per questo la ricerca suggerisce che un peggioramento di questi sintomi – come gli attacchi di panico – può avere un ruolo predittivo nell’accumulo delle proteine dannose nel tessuto cerebrale, e di conseguenza nello sviluppo del morbo di Alzheimer.
I sintomi dell’ansia
Invece di prendere in considerazione la depressione in toto, i ricercatori si sono concentrati sui sintomi specifici dell’ansia, non valutando ad esempio la perdita di interesse (apatia) o la tristezza, che giocano un ruolo importante nel disturbo depressivo maggiore.
Donovan e colleghi hanno comunque sottolineato che si è trattato di uno studio di osservazione, e altre indagini saranno necessarie per confermare quanto emerso dalla loro ricerca. “Se ulteriori studi individueranno l’ansia come un indicatore precoce, sarebbe importante non solo per identificare le persone con la fase iniziale della malattia, ma anche per trattarla e potenzialmente rallentare o prevenire la sua evoluzione”, ha dichiarato la Donovan.
“Il nostro non è un risultato definitivo – ha chiosato la ricercatrice – ma rafforza la teoria che lega i cambiamenti neuropsichiatrici con la beta amiloide”. I dettagli della ricerca sono stati pubblicati sulla rivista scientifica specializzata The American Journal of Psychiatry.