Cronaca

Sofia Stefani uccisa dal collega a Bologna, il folle accordo di sottomissione e la chiamata al 118: “È partito un colpo”

Giampiero Gualandi fermato omicidio Sofia Stefani
Giampiero Gualandi e Sofia Stefani
Giampiero Gualandi e Sofia Stefani

Sofia Stefani uccisa dal collega a Bologna, il folla accordo di sottomissione e la chiamata di Giampiero Gualandi al 118: “È partito un colpo”. Questa è la situazione emersa durante il processo contro l’ex comandante della polizia locale di Anzola Emilia.

Sofia Stefani uccisa dal collega a Bologna, la chiamata al 118

Il commissario Giampiero Gualandi era considerato il «padrone», noto anche come «il supremo», colui che «può tutto sulla sua schiava». L’agente Sofia Stefani, invece, era definita la «schiava», «sottomessa». Il contratto di sottomissione sessuale stipulato tra i due, che quasi due anni dopo si trovano rispettivamente nei ruoli di imputato e vittima di omicidio, conteneva dodici clausole di impegno per «la schiava», due per «il padrone» e tre che vincolavano entrambi. Questo documento, datato 18 maggio 2023, è stato presentato nel processo recentemente avviato davanti alla Corte di assise di Bologna, dove l’ex comandante della polizia locale di Anzola Emilia, 63 anni, è accusato di aver assassinato la sua ex collega, 30 anni più giovane, con cui aveva una relazione extraconiugale.

Il drammatico contratto di sottomissione sessuale

Stefani è stata uccisa il 16 maggio 2024 da un colpo esploso dalla pistola di ordinanza di Gualandi, all’interno del suo ufficio presso il comando di Anzola. Gualandi ha sempre sostenuto che si sia trattato di un incidente, un colpo partito per errore durante una colluttazione con la giovane. Tuttavia, la Procura e i carabinieri sono convinti che si sia trattato di un atto volontario. Secondo gli inquirenti e le parti civili, il contratto aiuta a delineare le dinamiche della relazione tra i due, definita «tormentata» e «fortemente squilibrata a causa della vulnerabilità di Stefani», come ha affermato in aula la procuratrice aggiunta Lucia Russo.

Un rapporto caratterizzato da alti e bassi, con fasi di calma alternate a momenti di tensione, fino al tragico epilogo, quando Gualandi era ormai diventato «prigioniero del castello di menzogne che aveva costruito», coinvolgendo sia la moglie che la stessa Stefani. «È importante sottolineare che nel contratto i protagonisti sono un comandante e un’agente, e tutto si inserisce nel contesto lavorativo», ha dichiarato l’avvocato Andrea Speranzoni, legale di parte civile per i genitori della vittima.

Le clausole di sottomissione

Tra le disposizioni, vi è l’accettazione da parte della «schiava» di subire punizioni, umiliazioni e maltrattamenti da parte del padrone, oltre all’impegno di comunicare telefonicamente per impartire o ricevere ordini almeno una volta al giorno. Si afferma anche: «Io, padrone, mi impegno a dominare l’anima di questa donna sottomessa, consumandola a mio piacimento (…)». Tuttavia, per la difesa, gli avvocati Claudio Benenati e Lorenzo Valgimigli sostengono che si tratti di una versione alterata di quanto presente nel libro «Cinquanta sfumature di grigio» di E.L. James, un caso editoriale che ha ispirato un film di grande successo.

«Si trattava di un gioco, privo di validità legale, di efficacia giuridica e di qualsiasi capacità di influenzare i comportamenti», ha evidenziato in aula l’avvocato Benenati. Si sostiene che se due adulti decidono di stipulare un contratto di questo tipo, lo facciano per divertimento e per stimolare fantasie, pertanto non si possono trarre conclusioni diverse. Inoltre, la difesa di Gualandi, rappresentata da Stefani, ha fatto notare che quest’ultima era interessata al tema del BDSM, come dimostrano le sue ricerche online. «Fate attenzione a chiunque tenti di influenzarvi con pregiudizi morali», ha avvertito l’avvocato Valgimigli, rivolgendosi ai giudici.

Accanto ai difensori, per la prima volta si trovava l’imputato, agli arresti domiciliari e in attesa della decisione della Cassazione riguardo alla custodia in carcere. Indossava un completo grigio scuro a righe e una cravatta, senza mai incrociare lo sguardo con i genitori di Sofia Stefani, seduti a pochi metri di distanza. Il padre e la madre della ragazza uccisa sono rimasti in aula anche durante la proiezione dei video del sopralluogo effettuato dai carabinieri sulla scena del crimine.

«È partito un colpo»

«Abbiamo una ferita molto grave. È partito un colpo e ha colpito al viso la collega», furono le parole pronunciate da Gualandi il 16 maggio 2024, quando contattò il 118 per soccorrere Sofia Stefani, l’ex collega con cui aveva una relazione e che, secondo l’accusa, avrebbe ucciso. L’audio della chiamata è stato presentato in aula durante il processo presso la Corte di assise di Bologna. L’operatrice chiese a Gualandi di eseguire il massaggio cardiaco in attesa dell’ambulanza. Successivamente, l’imputato fornì una spiegazione di quanto accaduto, ribadendo: «Stavo pulendo la pistola ed è partito un colpo». Questa è la stessa versione dell’incidente che Gualandi mantenne anche durante l’interrogatorio.

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