Niente stalking se si è amici. La Cassazione penale, con sentenza n. 36621/2019 accoglie il motivo di ricorso avanzato da un soggetto, condannato anche per il reato di atti persecutori di cui all’art. 612 bis c.p. In effetti, come rilevato dall’imputato, l‘esistenza di un rapporto amicale tra vittima e “persecutore”, così come desunta da un messaggio vocale prodotto in giudizio, risulta incompatibile con il reato di stalking.
Tale reato richiede infatti, che la vittima provi uno stato di ansia, paura e un timore per la propria o altrui incolumità, che non sono stati rilevati, proprio in virtù della confidenza che, nel caso di specie, esisteva tra i due soggetti coinvolti.
Stalking e amici, la vicenda
La Corte d’appello conferma la sentenza di primo grado con cui l’imputato viene condannato alla pena di tre anni e 8 mesi di reclusione perché colpevole dei reati di atti persecutori di cui all’art. 612 bis c.p, percosse, violenza privata, violenza sessuale e diffamazione aggravata.
Contro la sentenza ricorre l’imputato lamentando, per quanto riguarda la condanna per atti persecutori che, mentre il giudice di primo grado ha escluso la sussistenza di tale reato, la corte avrebbe violato la legge nel ritenerlo sussistente, considerato che di fatto, la persona offesa non ha mutato le sue abitudini di vita a causa della sua condotta. Dalle prove prodotte in giudizio (un messaggio vocale in particolare) la corte è giunta alla conclusione che tra le parti esiste un rapporto amicale, che di fatto esclude la modifica delle abitudini familiari della persona offesa, evento che invece è richiesto per integrare la fattispecie degli atti persecutori.
Non solo, la donna non ha allegato uno stato di timore verso l’imputato, in contrasto con quanto richiesto per la configurabilità dell’illecito penale, come precisato anche dalla Cassazione del 13 gennaio 2012 che ritiene “necessarie condotte alternative e eventi disomogenei, alternativamente raffigurati quale un perdurante stato di ansia, un fondato timore per l’incolumità propria o di un congiunto e l’alterazione delle proprie abitudini, che devono essere oggetto di un rigoroso controllo.”
La Cassazione con la sentenza n. 36621/2019, che annulla la sentenza limitatamente al resto di atto persecutori di cui all’art 612 bis c.p, accoglie il motivo del ricorso avanzato dall’imputato perché fondato. Gli Ermellini, dopo una dettagliata illustrazione degli elementi costitutivi del reato di atti persecutori rilevano come, dalle risultanze emerse in sede di appello “la donna si era limitata a riferire di aver trovato due possibili soluzioni per la nuova abitazione in cui trasferirsi e che dal tenore del messaggio emergeva una confidenza compatibile con il fatto che la donna non provava rancore per l’imputato, ma che era disposta a mantenere i contatti, in una logica di contenimento dei danni, purché al di fuori di una relazione ormai percepita come morbosa.
Il rapporto amicale doveva essere pertanto letto in tale ottica. Trattasi di una motivazione che appare manifestamente illogica, in quanto attraverso tale percorso motivazionale la Corte non spiega come il contesto – semplicemente amicale” potesse conciliarsi con la condotta di stalking di cui la stessa sarebbe vittima, essendo innegabile come l’invio del messaggio vocale inviato dalla p.o all’imputato (e raccolto in sede di indagini difensive come da verbale depositato il data 9.7.2028), proprio perché – qualificato – in considerazione del suo tenore – dalla corte d’Appello – mera confidenza – mal potesse conciliarsi con alcuno degli eventi normativamente indicati dall’art. 612 bis c.p.