Stop al mantenimento del figlio 40enne che non cerca un lavoro. Una sentenza della Cassazione: stop al mantenimento del figlio che non cerca un’occupazione.
Stop al mantenimento del figlio 40enne che non cerca un lavoro: la Cassazione
Quando due persone decidono di mettere al mondo un figlio, sono consapevoli di addentrarsi in una selva di responsabilità, diritti, doveri strettamente legati alla qualità di genitori e al, legislativamente tutelato, rapporto di filiazione. Tra i tanti, i genitori sono chiamati al dovere di mantenere la prole, garantendole un adeguato sostentamento economico. Ed è questo un obbligo consolidato che ritroviamo, oltre che nel codice civile, anche nella nostra Costituzione.
Dunque ritenuto fondamentale al pari di quello di educare, di istruire e di assistere la prole .I genitori, in altre parole, sono chiamati a mantenere i figli, anche dopo il raggiungimento della maggiore età, fintanto che non diventino economicamente autosufficienti, vale a dire sino a che non siano titolari di redditi corrispondenti alla professionalità acquisita, in relazione alle normali e concrete condizioni di mercato. Se si guarda alla giurisprudenza consolidata l’interpretazione del dovere di mantenimento gravante sui genitori e l’individuazione dei suoi limiti hanno, sempre ruotato esclusivamente intorno al concetto di indipendenza economica “del discendente”. Improvvisamente, però, in questo immutato contesto interpretativo, si è inserita una pronuncia della Cassazione di seguito riportata. Il genitore divorziato non è tenuto a mantenere il figlio quarantenne che non cerca un’occupazione.
Non basta infatti dichiarare di svolgere lavori saltuari per ottenere l’assegno. Al contrario spetta al beneficiario dimostrare di essersi adoperato per rendersi autonomo economicamente, tenuto conto dell’età elevata.
Sono queste le conclusioni raggiunte dalla prima sezione civile della Cassazione nell’ordinanza 21817/21 del 29 luglio che ha accolto il ricorso di un uomo che aveva chiesto la revisione delle statuizioni economiche conseguenti alla pronuncia di divorzio. Il tribunale di Roma, in parziale accoglimento della domanda, dichiarava cessato l’obbligo di corrispondere l’assegno divorzile alla ex moglie e al figlio maggiorenne. La corte d’appello ha però accolto l’impugnazione riconoscendo nuovamente l’assegno alla donna e al figlio, anche se la somma spettante al figlio era stata ridotta.
La vertenza
La vertenza è così giunta in Cassazione dove il ricorrente ha contestato entrambe le conclusioni. In merito alla donna ha sostenuto che il collegio non avrebbe tenuto conto del fatto che dallo scioglimento del matrimonio erano trascorsi oltre dieci anni. Per quanto riguarda, invece, il figlio maggiorenne la pronuncia sarebbe stata assunta su conclusioni del tutto generiche e assertive, essendosi la corte basata sulle sole dichiarazioni della madre la quale aveva affermato che il figlio frequentava «un corso gratuito per arricchire il suo curriculum» e che – pur non essendo riuscito a trovare un lavoro stabile – aveva svolto «lavori temporanei e precari», il tutto in assenza di qualsiasi prova.
La decisione
La Suprema corte, nel decidere la questione, ha ricordato che nel procedimento di revisione dell’assegno in favore dell’ex coniuge non basta allegare il trascorrere del tempo ma spetta al ricorrente provare la sopravvenienza di fatti nuovi idonei a evidenziare un’alterazione dell’equilibrio economico tra le parti. In merito invece all’assegno per il figlio la Cassazione ha affermato che il figlio divenuto maggiorenne ha diritto al mantenimento a carico dei genitori soltanto se, ultimato il prescelto percorso formativo scolastico, dimostri, con conseguente onere probatorio a suo carico, di essersi adoperato effettivamente per rendersi autonomo economicamente, impegnandosi attivamente per trovare un’occupazione.
Ebbene, nel caso in esame, evidenzia Giovanni D’Agata presidente dello “Sportello dei Diritti”, la corte d’appello si è limitata a recepire le dichiarazioni della madre circa, non meglio precisati, lavori saltuari che il figlio svolgerebbe, “senza alcuna specifica indagine circa l’impegno profuso da quest’ultimo nella ricerca effettiva di un’occupazione, tenuto conto dell’età elevata (circa trentanove anni), e del fatto che il medesimo ha terminato gli studi da circa dieci anni”.