Cronaca

La storia di Hanane, l’autista di autobus con il velo

Hanane Serkouh ha realizzato il suo sogno di bambina diventando un’autista di autobus. Il suo sogno era quello di guidare un camion come suo padre autotrasportatore. Dopo 41 anni in Italia, i suoi sforzi sono stati ripagati quando è stata assunta come autista presso la Sasa, un’azienda di trasporto pubblico dell’Alto Adige.

Tuttavia, la sua gioia è oscurata dai commenti razzisti che subisce quotidianamente mentre guida la linea 1 a Merano o la 201 che la collega a Bolzano. Hanane indossa il velo come simbolo di dignità, libertà e rispetto per la sua fede, che ha abbracciato in tarda età, ma alcuni passeggeri lo vedono come un’emblematica della diversità da condannare, come riportato dal Corriere del Trentino.

Hanane, l’autista di autobus con il velo che sfida i pregiudizi

L’autista di autobus Hanane Serkouh ha raccontato a Il Corriere del Trentino le difficoltà e gli insulti che le rivolgono: “Non si tratta di ragazzini immaturi: fino ad ora a creare problemi sono sempre stati adulti, per lo più donne. La prima volta è stato uno shock. Lavoravo da circa sei mesi e a causa del traffico il bus aveva un leggero ritardo, guidavo in modo sicuro ma spedito. Una signora italiana si è avvicinata a me e, senza alcun pretesto, ha iniziato a prendermi a male parole: “Ma come guidi? Vai al tuo Paese, chi ti ha dato la patente?”. Gridava, io ho iniziato a sudare freddo dalla paura. Poche settimane dopo una signora tedesca voleva scendere dove non era prevista fermata e al mio rifiuto mi ha apostrofata con insulti razzisti”.

Gli episodi di razzismo

Ma non sono stati gli unici episodi. “Lavoro da tre anni ed è già successo molte volte. L’ultima un mese e mezzo fa. Un uomo pretendeva che spegnessi l’aria condizionata ma era inverno, era già spenta. “Non capisci l’italiano? Sono io che ti pago”. Urlava, mi insultava, l’autobus era pieno e nessuno ha detto niente”. In questi casi, lei avrebbe modo di reagire: “il protocollo prevede di fermare il bus, aprire le porte e chiamare i carabinieri”.

Ma non sempre ha la forza di farlo. In generale, la sua risposta alle persone che la insultano è gelida. Ma solo all’apparenza: “Le guardo in silenzio, ascolto senza rispondere e mi chiudo nella cabina di guida. Entro in una bolla in cui non capisco più niente. Vado a casa, piango, sto male per una settimana e poi passa”. La sua assenza di reazioni deriva anche dalla paura che la situazione degeneri: “Per quello non rispondo: potrebbero tirarmi uno schiaffo”.

Le aggressioni

Della situazione, racconta Hanane, sono a conoscenza sia l’azienda che i colleghi. “Alcuni mi dicono: fai finta di non sentire. Altri consigliano di reagire, buttando fuori queste persone. Non potrei mai farlo, non è il mio carattere. Però ho scritto due lettere raccontando ai superiori quello che era successo: non ho mai avuto risposta”. Le aggressioni, comunque, non avvengono solo a bordo dell’autobus: “Due settimane fa ero a fare la spesa con mia mamma a Lana e una signora, passandoci accanto, ha detto Scheiß Ausländer (stranieri di m…), pensando che non capissi il tedesco ma sono bilingue. La titolare ha fatto finta di non sentire”. Secondo lei, è anche il velo che indossa a creare imbarazzo, in quanto “simbolo della sua religione»: «Il Corano prevede che le donne indossino il foulard e io lo porto per convinzione e rispetto, non certo per obbligo di mio padre o mio marito. Anche perché sono divorziata”. Alla religione islamica, racconta, si è avvicinata non per imposizione, ma dopo aver studiato: “I miei sono di mente aperta, hanno lasciato il Marocco da giovani e hanno cresciuto me e mio fratello come persone libere, senza inculcarci alcun credo. Solo dieci anni fa, studiando per conto mio, ho abbracciato la religione islamica e ho capito che è giusto che la donna si copra il capo. E siccome non penso di fare del male a nessuno, lo faccio”.

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