Il gup del Tribunale di Caltanissetta, David Salvucci, ha disposto il rinvio a giudizio per i poliziotti Giuseppe Di Gangi, Vincenzo Maniscaldi, Angelo Tedesco e Maurizio Zerilli, accusati di depistaggio per aver fornito dichiarazioni false e reticenti nel processo legato alla strage di via D’Amelio.
Il procedimento è legato alle indagini che hanno coinvolto anche altri agenti, come Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo, i cui reati di calunnia sono stati prescritti in appello.
Strage via d’Amelio, quattro poliziotti a processo per depistaggio
Secondo il pm Maurizio Bonaccorso, i quattro agenti avrebbero alterato o omesso informazioni cruciali, ostacolando così la ricerca della verità sulla strage del 1992 in cui perse la vita il giudice Paolo Borsellino. La prima udienza del processo è fissata per il 17 dicembre.
Tra gli elementi chiave dell’accusa emerge un’annotazione d’indagine del 1° luglio 1994, redatta dopo sopralluoghi effettuati dagli agenti del gruppo “Falcone e Borsellino” insieme al falso pentito Vincenzo Scarantino. Questo documento, riscoperto solo recentemente, non era mai stato presentato nei processi precedenti. La sua scomparsa solleva interrogativi: è stata una svista o un’azione deliberata? E chi sarebbe responsabile di un eventuale occultamento?
La difesa degli imputati
I legali degli agenti hanno respinto con forza le accuse. L’avvocato Giuseppe Panepinto, difensore dell’ispettore Vincenzo Maniscaldi, ha dichiarato:
“Le dichiarazioni del mio assistito sono sempre state veritiere e supportate da documenti. Non esistono elementi che giustifichino un’imputazione, né tantomeno una condanna”.
Panepinto ha inoltre sottolineato che eventuali depistaggi sarebbero attribuibili a Vincenzo Scarantino, il falso pentito le cui dichiarazioni portarono alla condanna di persone innocenti. Ha ribadito che Maniscaldi, definito dalla DIA “la memoria storica del Gruppo Falcone e Borsellino”, si è sempre impegnato per ricostruire i fatti in modo accurato.
L’avvocato Giuseppe Seminara, difensore di Giuseppe Di Gangi, ha descritto il suo cliente come un servitore dello Stato con una carriera di 40 anni impeccabile, contrassegnata da encomi e operazioni di rilievo, tra cui arresti di latitanti. Seminara ha ricordato che Di Gangi era già stato indagato per gli stessi fatti e l’inchiesta si era conclusa con un’archiviazione perché «il fatto non sussiste».
Nuove domande, vecchi misteri
La difesa ha sollevato dubbi sul ruolo del dirigente del gruppo “Falcone e Borsellino”, Arnaldo La Barbera, e sul rapporto tra quest’ultimo e Scarantino. Si interroga se gli agenti, con ruoli subordinati, potessero realmente essere partecipi di un depistaggio di tale portata. “Sappiamo davvero cosa accadeva tra La Barbera e Scarantino?“, ha chiesto il legale di Zerilli e Tedesco.
Il contesto storico
Il caso rientra nella complessa rete di indagini e processi che da anni ruotano attorno alla strage di via D’Amelio, con il pesante fardello degli errori giudiziari e delle false accuse basate sulle dichiarazioni di Scarantino. Ora, con questo nuovo processo, si tenterà di chiarire se dietro alle omissioni vi siano stati semplici errori o intenzioni deliberatamente dolose.