Suicidio nel carcere di Genova: indagati due agenti della Polizia Penitenziaria. Sono accusati di omicidio colposo per la morte di Amir Dhouiou, un giovane detenuto di origini tunisine, che si è tolto la vita il 4 dicembre nel bagno della cella nel Penitenziario Marassi.
Suicidio nel carcere di Genova, indagati agenti Polizia Penitenziaria
La Procura di Genova ha avviato un’indagine per omicidio colposo nei confronti di due agenti di polizia penitenziaria in relazione alla morte di Amir Dhouiou, un giovane detenuto di origini tunisine, che si è tolto la vita il 4 dicembre nel carcere di Marassi. La pubblica ministero Gabriella Dotto ha immediatamente aperto un fascicolo e ha disposto l’acquisizione delle immagini di videosorveglianza per chiarire le circostanze dell’accaduto. Il giovane, accusato di furto e resistenza, si è impiccato nel bagno della sua cella.
Aveva già tentato di togliersi la vita ed era stato trasferito in un centro clinico, una sezione speciale dedicata ai detenuti con particolari problemi di salute, dove vengono monitorati costantemente. Per questo motivo, gli investigatori intendono verificare se la sorveglianza a cui era sottoposto sia stata effettuata in modo adeguato o se ci fosse la possibilità di prevenire il gesto, nonostante tutti i controlli in atto.
“Abbiamo piena e incondizionata fiducia negli organi inquirenti e siamo i primi a desiderare che venga fatta chiarezza su quanto accaduto. Tuttavia, è inaccettabile che la polizia penitenziaria venga lasciata sola, con i suoi membri costretti, loro malgrado, a fronteggiare procedimenti penali e disciplinari, sostenendo di tasca propria le spese legali e subendo conseguenze negative sullo stipendio e sulla carriera. Questo accade anche quando, dopo un lungo periodo, riescono a dimostrare la correttezza del loro operato, in una sorta di inversione della presunzione di innocenza”, ha dichiarato Fabio Pagani, segretario della UILPA Polizia Penitenziaria.
Il fascicolo di inchiesta
L’apertura del fascicolo riporta alla luce, se mai ce ne fosse bisogno, la questione della protezione di coloro che vivono e lavorano all’interno delle carceri. I detenuti, in quanto dovrebbero scontare la pena e le misure cautelari in un ambiente di legittimità e sicurezza, che nella realtà appare quasi un’utopia. D’altra parte, gli operatori penitenziari dovrebbero disporre delle risorse e degli strumenti necessari per svolgere le loro funzioni in modo efficace e dignitoso, senza dover affrontare la necessità di difendersi per il degrado delle strutture carcerarie, un problema che richiede un’indagine su tutta la politica che ha governato negli ultimi 25 anni.
Nel carcere di Genova si registrano quest’anno quattro suicidi. Nelle case circondariali ci sono 14mila detenuti in più, mentre il Corpo di Polizia penitenziaria conta 18mila unità in meno. La situazione è segnata da omicidi, risse, rivolte, aggressioni, traffici illeciti e una diffusa disorganizzazione.
“Questo – sottolinea Pagani – è il contesto in cui operiamo. Uno Stato che imprigiona per la violazione di leggi, ma che sistematicamente e consapevolmente ignora altre norme che ha stabilito, anche nei confronti dei propri servitori, i quali sono incaricati di far rispettare la legge. Si tratta di un corto circuito per il quale i governanti degli ultimi decenni dovrebbero rendere conto, probabilmente, non solo dal punto di vista politico e morale.”