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Sydney Pollack, regista, attore e produttore cinematografico statunitense

Sydney Pollack è stato un regista, attore e produttore cinematografico statunitense, appartenente alla schiera dei registi della New Hollywood, ma più conosciuto come solido autore commerciale, grazie ai successi popolari di Tootsie e La mia Africa.
Fu attivo, da un lato, nella promozione di nuovi talenti cinematografici, dall’altro, nella preservazione dei capolavori del passato: è stato membro fondatore sia del Sundance Institute di Robert Redford, sia della Film Foundation di Martin Scorsese.

Sydney Pollack: regista, attore e produttore cinematografico statunitense

Nacque l’1 luglio del 1934 a Lafayette (in Indiana) da una famiglia di immigrati ebrei provenienti dall’Ucraina, figlio di Rebecca (nata Miller) e David Pollack, un pugile semiprofessionista e farmacista. La famiglia si trasferì a South Bend (Indiana) e i suoi genitori divorziarono quando era giovane. Sua madre, un’alcolizzata con problemi emotivi, morì all’età di 37 anni, quando Sydney aveva 16 anni.

Gli inizi in televisione

Trasferitosi presto dall’Indiana a New York, studiò recitazione al Neighborhood Playhouse con Sanford Meisner, di cui diventò assistente insegnando per sette anni arte drammatica. Per il Playhouse ricoprì anche ruoli come attore in alcuni allestimenti teatrali off-Broadway, distinguendosi abbastanza per essere chiamato a recitare in alcune serie televisive.



John Frankenheimer, uno dei nomi più importanti della prima generazione di registi televisivi passati al cinema, lo diresse in alcuni drammi hemingwayani e nel 1960 lo chiamò a Hollywood per affidargli la regia di alcuni film televisivi. Diresse episodi di diverse serie, ottenendo anche un premio Emmy, e si permise uno sperimentalismo inaudito per la televisione dell’epoca con Something About Lee Wiley, su una cantante blues anni Trenta.

In questo periodo conobbe alcune persone chiave della sua futura carriera: in televisione lavorò con David Rayfiel, che sarà il suo sceneggiatore abituale; sul set di Il giardino della violenza (1961) di Frankenheimer, dove lavorò come ripetitore di dialoghi, incontrò Burt Lancaster, che due anni dopo lo chiamerà per supervisionare il doppiaggio americano di Il Gattopardo di Visconti (benché Pollack non credesse alla validità del doppiaggio in quanto tale) e sarà la star dei suoi primi film; sul set di Caccia di guerra di Denis Sanders esordì come attore cinematografico insieme a Robert Redford, che diventerà l’interprete simbolo di tutta la sua carriera registica.

I primi film per il cinema

Quando la Paramount gli offrì l’occasione di dirigere un film per il grande schermo, Pollack colse al volo l’occasione di concretizzare la sua maggiore aspirazione, lasciare la televisione per il cinema, pur sapendo di non poter avere il pieno controllo sul progetto.

Il suo film d’esordio, La vita corre sul filo (1964), è un dramma familiare di chiaro stampo televisivo, che si rivelò un discreto successo di pubblico, ma fu anche l’unico proprio film che il regista affermò di non amare.



Il successivo Questa ragazza è di tutti (1966) è quello che si può considerare il suo primo vero film, un melodramma di origine teatrale à la Elia Kazan, con la star Natalie Wood, che costò tre volte più del precedente ed ebbe molto meno successo.

Fu anche l’inizio del fortunato sodalizio artistico con Robert Redford. Durante l’estate dello stesso anno venne chiamato per terminare le riprese di Un uomo a nudo a causa della dipartita del regista Frank Perry. Il film verrà distribuito nelle sale solo nel 1968.

In seguito affrontò due generi classici, il western e il film bellico, rispettivamente con Joe Bass l’implacabile (1968) e Ardenne ’44, un inferno (1969), dei quali Burt Lancaster era l’interprete principale. In entrambi i casi, rispetto’ le forme e le figure canoniche del genere, ma riuscì a esprimere un approccio molto personale.

Il primo è un western farsesco, che affronta in modo inedito il problema razziale, mettendo in scena sia l’indiano sia il nero, ma è completamente privo delle pretese e della retorica delle molte, più celebri riletture del genere di quegli anni, quali Soldato blu, Piccolo grande uomo, La ballata di Cable Hogue, I compari. Il secondo è uno strano film di guerra, sul tema della cultura contrapposta alla violenza, onirico, dalla forte stilizzazione figurativa.

Questa prima fase di maturazione culminò in un capolavoro, il dramma disperato Non si uccidono così anche i cavalli? (1969), che lo impose all’attenzione generale come una delle personalità più interessanti del rinnovamento hollywoodiano. Il film ottenne ben nove candidature agli Oscar, compresa quella per il miglior regista, ma fu l’anno del trionfo per John Schlesinger e il suo Un uomo da marciapiede, titolo fondamentale della New Hollywood.

Gli anni Settanta

Il nuovo decennio si aprì per Pollack con il western Corvo rosso non avrai il mio scalpo (1972), presentato in concorso a Cannes, “uno dei contributi più significativi nella revisione del genere”, e si chiuse con una variazione di ambientazione moderna dello stesso genere, Il cavaliere elettrico (1979), nuovamente interpretato da Redford, stavolta affiancato da Jane Fonda.

Entrambi i film sono caratterizzati da una celebrazione del mito della Natura piuttosto insolita per il “nuovo cinema americano”, a dimostrazione di una personalità autoriale che lo distanziava dai colleghi movie brats.



In mezzo, altri quattro titoli, fra cui spiccano il nostalgico affresco storico-sentimentale Come eravamo (1973) che, malgrado i pesanti rimaneggiamenti, risultò un efficace veicolo divistico per l’insolita coppia formata da Redford e Barbra Streisand, ottenne due Oscar (su sei nomination) e diventò una delle storie d’amore più celebri del cinema americano (sesta nella classifica dell’American Film Institute del 2002), l’avvincente thriller politico I tre giorni del Condor (1975), che dimostrò chiaramente l’adesione di Pollack allo “spirito dei tempi” (è dell’anno prima l’analogo Perché un assassinio di Alan J. Pakula), e il violento noir Yakuza (1974), dall’originale ambientazione giapponese, scritto da quel Paul Schrader che darà il suo apporto maggiore al cinema di quegli anni con la sceneggiatura di Taxi Driver di Martin Scorsese. I risultati meno convincenti di questo periodo furono il mélo Un attimo, una vita, con Al Pacino, e Il cavaliere elettrico.

A partire da Yakuza si impegnò direttamente nella produzione dei propri film, per difendersi dalle tensioni con gli studios, e dal decennio successivo produsse regolarmente lavori diretti da altri, attraverso la Mirage Productions.

Gli anni ottanta

Dopo aver diretto Diritto di cronaca (1981), sugli eccessi della stampa, che poté vantare l’ennesima star di prima grandezza del suo cinema, Paul Newman, l’anno successivo Pollack decise di cimentarsi per la prima volta nella commedia romantica con Tootsie, film ambientato nel mondo dello spettacolo, brillantemente interpretato da Dustin Hoffman e Jessica Lange, che a sorpresa si rivelò un successo clamoroso: ottenne addirittura dieci candidature agli Oscar (comprese quelle per miglior film e regista), anche se solo una (quella alla Lange come la miglior attrice non protagonista) si tramutò in statuetta (a causa dell’ostacolo insormontabile costituito dal kolossal impegnato Gandhi di Richard Attenborough), ma soprattutto incassò 177 milioni di dollari negli Stati Uniti, secondo solo al blockbuster E.T. l’extra-terrestre di Steven Spielberg nella stagione cinematografica 1982.

A dimostrazione che non si trattava di un fenomeno stagionale e di breve durata, nel 2000, a distanza di quasi vent’anni l’American Film Institute nella sua classifica delle migliori cento commedie statunitensi lo pose in seconda posizione, superato solo dall’indimenticabile A qualcuno piace caldo di Billy Wilder.



I crediti di stima artistica e di fiducia nelle sue potenzialità commerciali, accumulati con un simile successo, gli permisero di ottenere un budget di oltre trenta milioni di dollari per realizzare un kolossal vecchio stile, alla David Lean, La mia Africa (1985).

Benché il film non venisse particolarmente apprezzato dalla critica, fu accolto da un vasto successo di pubblico (con 87 milioni di dollari fu il quinto incasso stagionale negli Stati Uniti, mentre a livello internazionale superò i 128 milioni) e trionfò agli Oscar, conquistando sette premi su undici candidature (a scapito di Il colore viola di Steven Spielberg).

Gli anni Novanta

Il suo ritorno alla regia, dopo cinque anni, con Havana (1990), fu un insuccesso di critica e pubblico. Nella stessa stagione riuscì però a rifarsi nelle vesti di produttore, con il giallo processuale Presunto innocente, diretto da Alan J. Pakula, tratto da Scott Turow, che superò i duecento milioni di dollari a livello internazionale, fra i migliori dieci incassi dell’anno.

Traendone un’utile lezione, si cimento’ a sua volta con l’adattamento per il grande schermo da un maestro del thriller legale letterario, John Grisham, e ritrovò il grande successo: Il socio (1993), realizzato con assoluta professionalità ma privo della personalità di un tempo, costruito su misura per il divo Tom Cruise, incassò 158 milioni di dollari negli Stati Uniti (quarto posto stagionale) e 270 nel mondo (quinto posto stagionale).



Ma, di nuovo, dopo essere tornato ai vertici delle classifiche, ebbe una battuta d’arresto con Sabrina (1995), remake dell’omonima commedia sentimentale di Billy Wilder, infelice tanto nelle intenzioni quanto nel risultato. Di medio successo il film successivo, Destini incrociati (1999), che tuttavia non lo liberò dalla temporanea impasse creativa e commerciale.

Anni Duemila e morte

Si rifece pertanto partecipando come attore a diversi film come Mariti e mogli (1992), Eyes Wide Shut (1999), Ipotesi di reato (2002), Un po’ per caso, un po’ per desiderio (2005), Michael Clayton (2007), Un amore di testimone (2008) e telefilm come Frasier, Innamorati pazzi, Will & Grace, I Soprano.

Nel 2005, dopo la pausa più lunga della sua carriera, tornò alla regia con il thriller politico The Interpreter e con il primo documentario della sua carriera, Frank Gehry – Creatore di sogni, sul celebre architetto e suo amico personale. Morì il 26 maggio 2008 nella sua abitazione di Pacific Palisades, vicino Los Angeles a causa di un cancro allo stomaco.



Vita privata

Sostenitore del Partito Democratico statunitense, nel 1958 si sposò con l’attrice Claire Griswold, da cui ebbe tre figli: Steven (1959-1993); Rebecca (1963); Rachel (1969). Suo figlio Steven morì nel 1993 a 34 anni per un incidente aereo, mentre sua figlia Rebecca fu vicepresidente nelle produzioni cinematografiche negli anni novanta.

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