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Torino, agenti della polizia penitenziaria torturano i detenuti per reati sessuali: l’inchiesta si allarga

L’inchiesta che ha portato all’arresto di sei agenti della polizia penitenziaria del carcere Lo Russo e Cotugno di Torino accusati di tortura a danno di detenuti per reati a sfondo sessuale, è destinata ad allargarsi. Tra la sfilza di testimoni che nelle scorse settimane sono sfilati davanti al pm Francesco Pelosi, titolare del fascicolo di inchiesta, ve ne sono una decina che hanno denunciato – in alcuni casi – altri fatti gravi avvenuti nel penitenziario sul quale sono in corso accertamenti.

Agenti della polizia penitenziaria torturano i detenuti

L’inchiesta, nata dalla segnalazione qualificata di Monica Cristina Gallo, garante comunale dei diritti dei detenuti che aveva raccolto le confidenze di alcuni carcerati, tutti sotto i 40 anni, ristretti nelle quattro «sezioni incolumi», nel padiglione C della casa circondariale, si arricchisce dunque di nuovi capitoli e registra – nella sostanza – una conferma dell’impianto accusatorio anche dai giudici del Tribunale del Riesame che si sono espressi sui ricorsi – contro la misura cautelare degli arresti domiciliari – presentata da quattro dei sei agenti indagati. Il dispositivo conferma gli arresti per due agenti e revoca l’ordinanza per altri due, uno difeso da Antonio Genovese.

I pestaggi

Il Riesame riconosce che nel carcere di Torino si sono verificati diversi pestaggi e che le vittime sono attendibili; ritiene però che, per configurarsi la contestazione del reato di tortura, è necessaria una pluralità di condotte; quindi più condotte violente oppure una condotta violenta e altre vessatorie. Nel caso dell’agente a cui sono stati revocati i domiciliari il fatto di reato è uno solo e quindi cade la contestazione di tortura. Resta «una condotta degradante consistita nel costringere la vittima a rimanere fermo nel corridoio in piedi rivolto verso il muro, per un tempo di circa 40 minuti squalificando la sua persona», ma non inumana anche perché «non premeditata».

Questo – per senso contrario – è anche il motivo per cui gli altri due agenti indagati per almeno due episodi (tutti avvenuti tra Aprile 2017 e novembre 2018) si sono visti confermare il reato più grave e restano ai domiciliari. A uno avrebbero spruzzato detersivo per i piatti sul materasso e strappato le mensole dal muro, un altro sarebbe stato costretto a dormire sull’asse di metallo del letto, senza il materasso, un altro ancora ignorato quando ha chiesto una visita medica. Poi insulti e minacce. «Figlio di puttana, ti devi impiccare», gli dicevano. Per un altro, il trattamento era costringerlo a ripetere «sono un pezzo di merda».

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