di Domenico De Rosa
La “Teoria del Cavallo Morto” è un concetto che, seppur semplice, offre spunti profondi di riflessione in contesti dove la resistenza al cambiamento e l’incapacità di adattarsi a nuove circostanze diventa un ostacolo per il progresso. L’espressione prende il nome da un racconto tradizionale in cui un gruppo di persone continua a cercare di far camminare un cavallo che è, ormai, morto, ignorando che la soluzione sta nel sostituirlo con un altro mezzo, più moderno ed efficiente. Questo concetto può essere applicato anche alla situazione economica dell’Europa contemporanea, soprattutto alla luce del Green Deal e della transizione energetica.
Il Green Deal europeo, lanciato dalla Commissione Europea nel 2019, ha posto come obiettivo la riduzione delle emissioni di gas serra e la transizione verso una società carbon neutral entro il 2050. Questo piano, senza dubbio eccessivamente ambizioso ed implica una serie di cambiamenti drastici nelle politiche energetiche, industriali e agricole dell’Unione. Tuttavia, come sottolineano numerosi economisti e analisti, la transizione verso un’economia verde non è esente da problemi, e anzi, in alcuni casi potrebbe mettere a rischio la competitività e la stabilità economica dell’Europa.
La “Teoria del Cavallo Morto” si applica qui in vari modi. In primo luogo, la transizione energetica, pur essendo necessaria per ridurre le emissioni di CO2 e combattere i cambiamenti climatici, è fortemente influenzata da considerazioni ideologiche che potrebbero minare la sua effettiva realizzabilità. L’Europa si è impegnata in un percorso che presuppone una trasformazione radicale dei settori energetico, automobilistico, industriale e agricolo. Tuttavia, molte delle soluzioni proposte sembrano ignorare la realtà del mercato globale, dove i paesi non europei, come la Cina o gli Stati Uniti, continuano a investire pesantemente nelle energie fossili e a ignorare le politiche ambientali. Questo crea una situazione in cui l’Europa corre il rischio di “cavalcare un cavallo morto”, cioè di perseguire una strategia che non tiene conto delle dinamiche globali e delle capacità industriali.
Uno degli aspetti più critici della transizione europea è il forte costo economico che essa comporta, sia per i cittadini che per le imprese. L’obiettivo di ridurre la dipendenza dai combustibili fossili implica ingenti investimenti in energie rinnovabili e in tecnologie verdi. Tuttavia, l’industria energetica tradizionale, che continua a dominare in molte regioni europee, non può essere sostituita dall’oggi al domani. Le infrastrutture per le energie rinnovabili, pur essendo in crescita, non sono ancora sufficienti a garantire un approvvigionamento energetico stabile ed economico per tutta l’Europa.
La difficoltà principale sta nella transizione stessa: da un lato, la produzione di energia rinnovabile non può ancora competere con i costi bassi dei combustibili fossili, e dall’altro, il sostegno a queste tecnologie è gravato da una forte componente ideologica che ostacola l’adozione di soluzioni pragmatiche come il nucleare, che potrebbe contribuire a bilanciare la transizione energetica in modo più rapido ed economico. In questo contesto, l’Europa potrebbe trovarsi a “cavalcare un cavallo morto”, investendo enormemente in tecnologie che non sono ancora pronte a sostituire la potenza economica dei combustibili fossili.
Un altro aspetto critico è il rischio di de-industrializzazione che potrebbe derivare dall’implementazione forzata di politiche ecologiche troppo stringenti. Le piccole e medie imprese (PMI) europee, che costituiscono il cuore pulsante dell’economia del continente, potrebbero trovarsi in difficoltà a sostenere i costi associati alla transizione energetica. La corsa alla “greenizzazione” dell’economia potrebbe infatti penalizzare settori tradizionali come la siderurgia, la chimica, il trasporto e l’agricoltura, costringendo molte aziende a chiudere o a delocalizzare fuori dall’Europa dove le normative ambientali sono meno severe.
In questo senso, l’Europa si troverà a fronteggiare una situazione critica in cui, perseguendo l’obiettivo di una “società verde”, rischia di vedere un grave impoverimento economico, una compromissione irreversibile della competitività globale e la perdita di tantissimi posti di lavoro. Qui, la “Teoria del Cavallo Morto” emerge con forza: la persistenza nell’adozione di politiche green senza un adeguato supporto economico e industriale potrebbe finire per danneggiare l’economia europea, senza neppure raggiungere gli obiettivi ecologici prefissati.
Per evitare di “cavalcare un cavallo morto”, è necessario un ripensamento delle politiche europee in materia di transizione energetica. Non si tratta di abbandonare la causa del cambiamento climatico, ma di affrontarlo con un approccio più equilibrato e pragmatico, che integri soluzioni tecnologiche diverse, compreso il nucleare e il gas naturale come ponte, e che tenga conto delle diverse realtà economiche e sociali dei singoli paesi membri.
Inoltre, è essenziale che l’Europa sviluppi politiche industriali e sociali che accompagnino la transizione, supportando le PMI, creando nuovi posti di lavoro nel settore verde e investendo nell’innovazione tecnologica. Solo così l’Europa riuscirà a evitare il rischio di una “greenizzazione ideologica” che può rivelarsi economicamente insostenibile e, paradossalmente, dannosa per l’ambiente e per l’economia.
Così L a “Teoria del Cavallo Morto” applicata alla transizione energetica europea invita a riflettere sul fatto che le soluzioni ideologiche, se non accompagnate da un’analisi realistica delle circostanze economiche, possono risultare dannose. L’Europa ha il dovere di perseguire un futuro più verde, ma non deve farlo a discapito della sua competitività economica. La sfida è quella di trovare il giusto equilibrio tra sviluppo sostenibile, innovazione tecnologica e giustizia sociale. Se si continuerà a “cavalcare il cavallo morto”, rischieremo di perdere di vista l’obiettivo finale di una transizione giusta ed efficace per tutti.