Favoreggiamento dell’immigrazione clandestina a Roma, sgominata la cosca bengalese. Le indagini hanno permesso alle autorità competenti di far emergere l’operatività su Roma (nello specifico, presso la circoscrizione del V Municipio) di una collaudata struttura criminale, composta da soggetti di nazionalità bengalese, finalizzata a favorire – a fini di lucro – la permanenza illegale sul territorio italiano per lo più di propri connazionali.
Contratti falsi e finti, permessi di soggiorno: blitz ai bengalesi a Roma
Questa cosca bengalese – in barba a tutto e a tutti – si faceva in quattro per violare i presupposti giuridici che regolamentano il rilascio o il rinnovo dei permessi di soggiorno.
Sono 13 le persone finite nei guai: 4 sono finite in carcere, 6 agli arresti domiciliari e 3 con obblighi di firma. Nell’inchiesta sono stati coinvolti anche impiegati comunali.
Falsi e finti permessi di soggiorni
L’indagine è stata portata a termine dal Nucleo Speciale Polizia Valutaria della Guardia di Finanza, su richiesta della Procura della Repubblica. Tutte le persone coinvolte sono gravemente indiziate per associazione a delinquere, corruzione, falso e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.
Il sistema illecito ricostruito accuratamente dalle Fiamme Gialle, faceva sì che – anche attività di intercettazioni telefoniche ed ambientali – 9 cittadini benglasesi potessero “catturare” clienti interessati a concludere pratiche amministrative presso l’anagrafe comunale con un tariffario variabile tra gli 80 e gli 800 euro complessivi.
Sempre gli stessi trasgressori, si occupavano di “gestire” i successivi appuntamenti presso il Municipio, ritirare i relativi certificati di residenza e occuparsi delle “questioni” relative agli immobili utilizzati; uno di tali soggetti, titolare di un’attività di assistenza fiscale, era deputato all’accensione/cessazione di partite IVA, nonché al rilascio di dichiarazioni fiscali fittizie.
Favoreggiamento dell’immigrazione clandestina
Il tutto si svolgeva grazie all’aiuto di tre dipendenti dell’Anagrafe capitolina che – dietro compensi variabili tra i 50 e i 100 euro (ricevuti per qualsivoglia pratica evasa) emettevano certificati di residenza falsi o rilasciavano (anche in bianco, da utilizzare a seconda delle necessità) prenotazioni per appuntamenti in assenza di ragioni di urgenza.
Uno di questi dipendenti (una donna) continuava ad esercitare l’azione illcita nonostante fosse stata trasferita ad un altro incarico. Attraverso l’ausilio di WhatsApp e incontri privati in bar e altri locali pubblici proseguivano con nonchalance la loro attività corruttiva.
I pagamenti illeciti all’organizzazione criminale avvenivano attraverso previe ricarche delle carte PostePay, altri pagamenti, invece, sono avvenuti anche attraverso denaro contante.