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Quando il vaiolo delle scimmie diventa pericoloso? I dettagli in uno studio

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Immagine di repertorio

Quando il vaiolo delle scimmie diventa pericoloso? A spiegarlo è uno studio condotto anche da alcuni ricercatori napoletani. La ricerca coinvolge esperti di diversi centri e atenei d’Italia, dall’Istituto Lazzaro Spallanzani di Roma all’ospedale Sacco di Milano, dal Policlinico San Martino di Genova al Policlinico Paolo Giaccone di Palermo, dal San Raffaele al Niguarda di Milano, e ancora Aorn Ospedali dei Colli di Napoli, San Gerardo di Monza, Policlinico universitario Gemelli di Roma e Fondazione Icona di Milano. Sono stati valutati i predittori della durata di Mpox, analizzato la cinetica dei marcatori infiammatori e descritto il rilevamento del Dna del virus Mpxv nei fluidi corporei dopo la guarigione clinica. Il lavoro pubblicato su ‘eBioMedicine’, come spiega anche l’infettivologo Matteo Bassetti su X, “dimostra che più è elevata la quantità di virus nell’organismo e maggiore è la probabilità di avere forme gravi”.

Quando il vaiolo delle scimmie diventa pericoloso? Lo studio

Altri aspetti osservati sono che “la razza caucasica e la presentazione con febbre, mal di gola, linfoadenopatia e lesioni perianali potrebbero” anch’essi “predire la grave evoluzione della malattia”. Ma in particolare, appunto “valori Ct elevati delle vie respiratorie superiori nella prima settimana di infezione”. Questi risultati potrebbero aiutare a mettere a punto una strategia di laboratorio con parametri misurabili di evoluzione clinica sfavorevole nelle primissime fasi dell’infezione, anche in pazienti che non presentano lesioni cutanee.

Gli autori sono partiti dal fatto che nell’epidemia del 2022-2023 sono stati descritti decorsi di Mpox gravi e prolungati. Lo studio di coorte storico multicentrico ha dunque preso in considerazione adulti con diagnosi confermata in laboratorio tra maggio 2022 e settembre 2023 in 15 centri italiani. I casi sono stati seguiti dal giorno della diagnosi fino alla guarigione clinica. Sono stati arruolati 541 pazienti in totale, tra cui anche 4 donne. Età media: 38 anni. La forma grave è stata segnalata in 215 pazienti (39,7%). Nessuno è deceduto.

Indagando sulla “differenza significativa” osservata tra la carica virale dei pazienti che avevano un’infezione lieve e quelli che sviluppavano forma grave, gli esperti hanno rilevato che il rischio di sviluppare malattia grave diminuiva “di circa il 5% per ogni aumento di Ct”, valore che più è elevato e più indica una bassa carica virale. In altre parole, diminuendo la carica virale rilevata nelle vie respiratorie superiori diminuiva anche il rischio di malattia grave. Gli esperti hanno osservato anche che “il virus mpox non ha mostrato alcuna tendenza a causare danni specifici agli organi. Inoltre, lo studio ha mostrato la diffusione virale in diversi siti anatomici dopo la guarigione clinica, sebbene non sia stato possibile trarre interpretazioni definitive dell’infettività”.

L’associazione diretta tra i valori Ct delle vie respiratorie superiori e la gravità dell’Mpox, concludono gli autori, “suggerisce il suo potenziale utilizzo come strumento di laboratorio, insieme a noti fattori clinici predittivi, per la gestione precoce dei casi e per identificare le persone a rischio di grave malattia. Ciò potrebbe facilitare l’inizio tempestivo del trattamento antivirale o l’indicazione per l’ospedalizzazione, in particolare tra le persone più vulnerabili, come quelle con infezione da Hiv avanzata. Infine, gli sforzi di ricerca e la continua sorveglianza internazionale sono fondamentali per migliorare le attuali strategie di contenimento e le future risposte alle epidemie tra i membri delle popolazioni chiave”.

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