Una pena record di 21 anni di carcere è stata inflitta ad un violentatore che ha stuprato 4 donne a Varese nel 2018. Una pena così alta perché per il giudice c’è stato un “clamoroso fallimento del percorso rieducativo da lui seguito negli anni trascorsi in carcere“, testimoniato dalle aggressioni compiute mentre era affidato in prova ai servizi sociali.
Varese: 21 anni di carcere al maniaco dei distributori
La terza Corte d’Appello ha condannato a 21 anni un italiano di 36 anni, Thomas Andreose, ritenuto responsabile di aver nel 2018 in provincia di Varese aggredito donne sole di sera, sorprendendole dal benzinaio o al semaforo rosso per salire sulle loro auto dalla portiera di sinistra, fingere di parlare con accento straniero, picchiarle e costringerle a fermarsi in zone isolate per poi violentarle, con il dettaglio poi di una propensione al feticismo dei piedi.
“Non sono io il responsabile delle aggressioni, quello è un mostro e io sono solidale con le vittime“, diceva l’imputato proclamandosi innocente. Ma contro di lui, nella valutazione dei giudici Marcelli-Re-Puccinelli, hanno pesato, oltre ai racconti delle donne, i tabulati telefonici che localizzano il suo cellulare sempre nei luoghi delle aggressioni, l’auto di una vittima lasciata vicino a casa propria, e soprattutto il suo Dna identificato in un caso su una delle vittime e in un altro caso in un guanto trovato dentro l’auto di un’altra delle aggredite.
Le accuse
E al momento di stabilire la pena la Corte d’Appello tira le somme: oltre alla violenza sessuale ci sono il sequestro di persona, le rapine aggravate delle auto, e anche le lesioni personali aggravate perché una delle donne aggredite, “a causa delle percosse, subì una malattia che l’ha resa incapace di lavorare e attendere alle ordinarie occupazioni per più di 40 giorni“.
La condanna
Oltre poi a una serie di ulteriori aggravanti, i nutriti precedenti penali gli valgono la contestazione delle “recidiva reiterata infraquinquennale“, altro moltiplicatore di una pena che viene lievemente mitigata soltanto da due elementi: lo stato di tossicodipendenza dell’uomo ed è una sorta di proprietà transitiva: “Le circostanze attenuanti generiche vengono concesse esclusivamente in considerazione del comportamento processuale del difensore, il quale ha prestato il consenso alla acquisizione di molti atti di indagine, con ciò snellendo in modo consistente l’attività processuale.”
“Tale comportamento — valuta la sentenza di primo grado a Busto Arsizio ora confermata dalla Corte d’Appello — si riverbera positivamente sull’imputato», che invece «nulla ha fatto per meritare la concessione delle circostanze generiche, avendo mentito platealmente durante il suo esame, non avendo mostrato minimamente una sincera resipiscenza, e non avendo risarcito il danno“.